La canapa tessile potrebbe tornare ad essere una delle punte di diamante del Made in Italy, esattamente come avveniva fino a 70 anni fa
Fino agli anni ’40, l’Italia era il uno dei maggiori produttori ed esportatori mondiale di canapa tessile (secondo solo all’Unione sovietica): un’industria fiorente che assicurava migliaia di posti di lavoro sia nel settore agricolo che in quello industriale con i filati made in Italy di canapa conosciuti in tutto il mondo per la straordinaria qualità delle fibre ottenute dalle piantagioni del Bel Paese.
Negli ultimi 70 anni, però, il proibizionismo crescente intorno a tutti i derivati della canapa ha fatto calare la produzione e l’utilizzo dei filati: pochi investimenti nella meccanizzazione dei sistemi di produzione hanno spinto le industrie tessili a preferire gl’emergenti tessuti sintetici (disponibili a getto continuo e in enormi quantità) o quelli in cotone, coltura molto più impattante sull’ambiente rispetto alla canapa, soprattutto per le enormi quantità d’acqua che richiede in fase di crescita e lavorazione.
“L’oro verde”, così come veniva definita la canapa nel primo ‘900, sta tornando alla ribalta negli ultimi anni: merito delle crescenti attenzioni ambientaliste, ma anche della riscoperta delle tradizioni del made in Italy. La pianta di canapa assorbe richiede la metà dell’acqua necessaria al cotone in fase di crescita e non necessita quasi mai di fitofarmaci (il cotone, al contrario, occupando il 3% di tutti i terreni coltivati al mondo consuma circa il 25% dei fitofarmaci impiegati nel settore). E’ una pianta capace di ossigenare il terreno e di stoccarvi azoto, proprietà che rendono il suolo naturalmente più produttivo. In fase di crescita, inoltre, le piante di canapa possono catturare fino a 4 volte la CO2 assorbita in media dagli alberi.
Il maggiore tentativo di rilancio della canapa tessile in Italia c’è stato tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000 quando il consorzio Canapaitalia, cui inizialmente aderì anche Giorgio Armani e il Linificio e Canapificio Nazionale (uno dei più antichi siti di lavorazione industriale della canapa in Italia, oggi di proprietà del Gruppo Marzotto), provò a ripiantare in Italia la Fibranova, una delle 66 varietà di canapa legalmente autorizzate in Ue che conobbe grande diffusione nel nostro Paese intorno agli anni ’50 del secolo scorso.
Il progetto fallì a causa degli alti costi di raccolta della materia prima, ma produsse comunque un’enorme quantità di canapa che ancora oggi vengono lavorate negli stabilimenti del Linificio e Canapificio Nazionale.
Negli stessi anni, Armani propose il primo jeans fatto interamente in fibra di canapa, mentre per lanciare il filato anche nell’alta moda, la casa milanese regalò uno spettacolare frac in canapa al maestro Claudio Abbado per l’inaugurazione della stagione lirica a Ferrara. I tempi non erano maturi e il progetto di Armani si arenò, tuttavia l’evoluzione del mercato potrebbe dare nuova linfa a simili iniziative: è di poche settimane fa l’annuncio di Levi’s del lancio di una linea d’abbigliamento denim prodotta in parte (al 30%) con canapa tessile.


Al di là delle sue qualità ambientali, la canapa produce un filato attraente per la moderna industria dell’abbigliamento anche per le caratteristiche di resistenza, termoregolazione e protezione dai raggi UVA: il tessuto di canapa mantiene parte delle caratteristiche della pianta, come le proprietà antibatteriche o quelle di resistenza (la canapa produce le fibre naturali più resistenti all’usura); assorbe l’umidità prodotta dal corpo ed è in grado di regolare la quantità di calore tra l’interno e l’estero (nel caso di un capo d’abbigliamento, tra il corpo e l’ambiente) permettendo di intrappolare il calore in inverno e rilasciarlo invece in estate. I tessuti in canapa inoltre respingono fino al 95% dei raggi ultravioletti mentre possono assorbire le radiazioni infrarosse.
Non è un caso che il Linificio e Canapificio Nazionale abbia siglato un accordo con il Comune di Bergamo per avviare la prima coltivazione high tech di canapa in Italia, ad Astino nel bergamasco, dove sensori e tecnologia 4.0 monitoreranno i raccolti per garantire il massimo dell’efficienza e aumentare i flussi di fibra tessile che attualmente rappresentato “solo” il 5% dei 5 milioni di chilogrammi di filato prodotto dal Linificio e Canapificio Nazionale.
L’iniziativa bergamasca non è l’unica a tentare il rilancio in chiave tecnologica del settore: particolarmente interessante è il progetto Tecnocanapa che prevede la costruzione di un impianto mobile di lavorazione della materia prima. Lo speciale macchinario messo a punto da Tecnocanapa può essere spostato da coltivazione a coltivazione, evitando i costi di spedizione delle balle di canapa grezza. Una volta in opera, l’impianto è capace di separare la parte legnosa della canapa (detta canapulo, particolarmente utile in bioedilizia per le sue capacità isolanti) dalla fibra tessile tramite il processo di stigliatura. La fibra tessile così ottenuta può essere direttamente lavorata in loco o spedita facilmente presso un centro di raffinazione.
Il gap di strumentazioni per la raccolta e la lavorazione è uno di quelli da colmare repentinamente per lanciare il mercato. Tra le aziende che stanno tentando di sopperire c’è la mantovana E-Bassi che ha messo a punto una linea produttiva innovativa capace di ordinare i fasci di “tiglio” (così come viene chiamata la pianta di canapa quando fittamente coltivata a scopi tessili) durante la fase di sfalcio e ottenere rotoballe particolarmente omogenee. Un’accortezza necessaria in vista della fase di macerazione e quindi dell’invio delle fibre tessili all’industria.
Un lento risveglio che passa anche dalle amministrazioni locali: a luglio 2019, la Regione Marche ha approvato una Legge regionale che stanzia finanziamenti per un totale di 360 mila euro fino al 2020 destinati a lanciare la coltivazione di canapa industriale.
Ma è l’intera penisola che sembra aver colto l’opportunità di un rilancio della canapa industriale e tessile: se nel 2013 erano rimasti a coltura di canapa tessile solo 400 ettari in Italia, alla fine del 2018 la quota di territorio dedicato è aumentata radicalmente con quasi 4 mila ettari. Cifre ancora contenute rispetto alla prima metà del ‘900, quando erano almeno 100 mila gl’ettari di territorio nostrano coltivato a canapa industriale.
Insomma, dopo un lungo periodo di obsolescenza, la canapa tessile sembra destinata a tornare una delle punte di diamante del Made in Italy.
Esattamente come all’ultima edizione dell’Indica Sativa Trade, la fiera internazionale della canapa tenutasi ad aprile a Bologna, dove i visitatori si sono potuti immergere nell’installazione artistica “50 shades of green”, un tunnel di tessuto in canapa colorato di tutte le sfumature che può prendere naturalmente il filato (dal marrone-giallo, fino al verde e al blu-viola), il prossimo futuro sembra prospettare per l’Italia un nuovo viaggio in compagnia di questo straordinario prodotto.
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