In tutta Italia i negozi di cannabis light rimangono aperti. La sentenza della Cassazione e Salvini non hanno fermato la canapa light ma solo confermato la necessità di una legge in materia.


A ridosso del 30 maggio 2019, giorno in cui la Corte di Cassazione si è espressa circa la libera commercializzazione della marijuana legale, il leader della Lega Matteo Salvini aveva dichiarato lapidario l’intenzione di promuovere un provvedimento di legge volto alla chiusura dei grow shop presenti sul territorio nazionale, imponendo in questo modo l’assoluto divieto di commercializzazione di cannabis light e relativi derivati. Tuttavia quelle che erano di fatto le aspettative dei “moderni proibizionisti”, sono state da subito disilluse poiché i tribunali interpellati dai titolari dei negozi colpiti da rigidi e severi controlli, sono di parere diametralmente differente: la canapa legale non può in alcun modo essere considerata uno stupefacente, non risulta essere in alcun modo drogrante e la Legge attualmente in vigore ne contempla la libera vendita. La ragione dunque sembrerebbe essere dalla parte dei commercianti e dei produttori di canapa sativa, la cosiddetta “erba light”che contiene un ridotto contenuto di THC.
Marijuana legale: i giudici ne autorizzano la commercializzazione
Dopo la sentenza emessa dalla Cassazione lo scorso 30 maggio 2019, le Forze dell’Ordine hanno intensificato i controlli legati ai numerosi grow shop presenti sul territorio nazionale, sequestrando la merce in via cautelativa e forzandone la chiusura: i titolari hanno quindi tempestivamente fatto ricorso, richiedendo l’intervento della Magistratura, organo deputato al controllo della concentrazione di THC o tetracannabidiolo presente comunemente nella marijuana light a concentrazioni inferiori tuttavia allo 0,5%, limite consentito e tollerato dall’ormai nota Legge 242 del 2 dicembre2016 che provvede ad esplicitare le disposizioni legate alla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa. Proprio il THC è l’oggetto di tale controversia poiché considerato il cosiddetto elemento drogante, teoria da subito smentita dalla medesima legge che impone come margine di tolleranza lo 0,6%, concentrazione insufficiente nel comportare il canonico “sballo” così aspramente dibattuto.
E se tuttavia la sentenza impone “la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis (olio, foglie, infiorescenze e resina)” salvo che “tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante“, viene da sé che la vendita di marijuana legale dovrebbe altresì essere tollerata e promossa poiché proprio in Italia è totalmente assente una normativa specifica in grado di stabilire con precisione come misurare in maniera obbiettiva l’entità degli effetti dati dall’assunzione.
Efficacia drogante: ecco le contraddizioni
La sentenza della Cassazione vedrebbe dunque una sorta di “inversione di rotta” circa la vendita dei derivati della cannabis più diffusi, finendo per contraddire quanto invece stabilito dalla suddetta Legge 242 del 2016, com’era in precedenza, salvo nei casi in cui questi derivati non presentino efficacia drogante, espressione che di fatto ne suggerirebbe dunque la libera commercializzazione. Tale limite, fintanto che non verranno depositate le motivazioni della stessa, è tuttavia suscettibile a molteplici interpretazioni, poiché il principio su cui si fonda il concetto di marijuana legale è dato dalla totale inefficacia drogante della stessa. La Legge attualmente in vigore impone che la canapa depotenziata presenti una concentrazione di THC, responsabile dei conclamati effetti psicotropi, pari o inferiore allo 0,2%, con un margine di tolleranza che si attesta allo 0,6%, livello talmente ridotto da non comportare alcuna azione dannosa a carico dell’organismo. Nessuna controversia invece per quanto concerne il CBD, noto per rappresentare il principio attivo comunemente presente nella cannabis terapeutica. Resta solo da attendere nuove normative in grado di colmare il vuoto legislativo che rende lo scenario particolarmente nebuloso e nel frattempo le attività commerciali legate alla marijuana legale, possono comunque tirare un sospiro di sollievo, accantonando l’acceso dibattito provocato dal decreto Salvini.
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